giovedì 31 marzo 2011

La lettera a Curi su il "Teatro nudo"

roma, 29.9.2000


Ritrovata dopo dieci anni, la lettera di Alfredo Giuliani che pubblichiamo è apparsa subito troppo interessante per essere confinata di nuovo nel cassetto da cui è riemersa, e degna invece di venire conosciuta dai lettori di «Poetiche». Quanto alla ragione per cui si è deciso di ristampare il saggio Teatro nudo, essa è accennata chiaramente dallo stesso Giuliani nella sua lettera. Ciò che non fu possibile realizzare dieci anni or sono, crediamo di poter attuare ora, fiduciosi di soddisfare utilmente al tempo stesso il desiderio dell'amico e l'attesa del pubblico.

Ringraziamo Laura Giuliani che ha gentilmente acconsentito alla pubblicazione dei due testi.

Caro Fausto
mi sono alquanto (ma non abbastanza) riposato, "staccando" da tutto e da tutti per una diecina di giorni. Durante i quali m'è venuta in mente l'opportunità di presentare un "documento" forse dimenticato. È l'articolo Teatro nudo scritto per il «Marcatrè» n. 3 (stampato nel febbraio 1964). Non è stato mai ripreso o raccolto in nessuna pubblicazione successiva. E credo che nessun critico vi abbia mai fatto cenno. Non riesco a ricordare con precisione in quali mesi l'ho scritto. Certamente nel 1963, ma prima o dopo il Gruppo 63 a Palermo? Io credo prima, nell'estate, ma potrei sbagliarmi, averlo scritto intorno a novembre. Non ha molta importanza. Il punto è: ti interessa?
Potrei aggiungere (dato che l'argomento in primo piano è il collage, la pratica del collage, per la precisione) una nota' sulla folgorante scoperta di due grandi collages di Schwitters (larghi almeno un metro o un poco di più, e alquanto più estesi in altezza, nel mio ricordo) esposti alla Biennale di Venezia del 1960. Quell'estate, io con mia moglie e Balestrini fummo ospiti dei Paolazzi nella villa di Martellago, per parecchi giorni. E insieme scoprimmo con Forte emozione quel Schwitters. Tanto che dopo, al tavolino di un caffè, scrivemmo improvvisando a turno una serie di versi. Era un momento particolare: s'era messo a piovere fitto, scendeva la prima sera, e nel caffè c'eravamo rifugiati portandoci dietro quell'emozione. Il collage che ci dette una vera scossa aveva incollata al centro una vera ruota di carro scheggiata e rotta. Data: 1918. Più espressionista, che Merz. L'immagine che evocava (ricordo soprattutto le tonalità di verde) era sicuramente: il silenzio attonito della guerra finita. Ci venne l'impulso di buttare giù in versi improvvisati, passandoci a turno un foglio, i sentimenti che in quel momento ci accomunavano. Probabilmente poi, a Martellago, copiammo a macchina il testo. Non l'ho ritrovato. Eppure sono certo (o quasi certo) di averlo conservato, ma chissà in quale scartafaccio o mucchio di vecchie carte (sono un pessimo archivista, conservo una quantità di robetta e la rendo irreperibile, a volte ritrovo qualcosa affidandomi alla serendipità).
Comunque sia, trascrissi una parte di quella improvvisazione (penso che fosse il mio contributo) e quella parte l'ho conservata. Eccola qui:

combinazione della ruota
rotta e disseccata e la nostra pioggia che la ridesta,
non una tela, né un discorso
la dolcezza invertita
del blu murano spento sui globi di coppale
non reca aiuto a quella ruota rotta, più forte, sì,
dei nostri rompimenti
pensate alla ruota rotta

Dimmi se quanto sopra lo trovi interessante.

Cari saluti
Alfredo G.

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